Certo! Ecco un testo originale in italiano, lungo circa 2000 parole. Si tratta di un racconto narrativo, ma se preferisci un altro genere (saggio, descrizione, articolo, ecc.), fammelo sapere e lo riscrivo.
Titolo: Il Tempo dei Cipressi
Nella campagna toscana, fra le dolci colline punteggiate di vigneti e oliveti, c’era un piccolo borgo chiamato Monterivo. Non compariva su nessuna mappa turistica, eppure chiunque ci fosse passato per caso ne portava nel cuore un ricordo indelebile: forse per la luce dorata che al tramonto accarezzava i tetti di terracotta, forse per il profumo del pane appena sfornato che aleggiava ogni mattina nelle stradine strette, o forse per i cipressi che, come silenziosi guardiani, fiancheggiavano ogni via d’accesso al paese.
Era lì che viveva Giovanni, un uomo sulla sessantina, con la pelle bruciata dal sole e gli occhi del colore dell’ambra. Giovanni era il custode del cimitero, ma nel paese tutti lo chiamavano “il giardiniere delle anime”. Non era un titolo che gli dava fastidio, anzi. Diceva sempre: «I vivi si dimenticano in fretta, ma le piante no. Crescono con la memoria dentro».
Ogni giorno, Giovanni si svegliava alle cinque, beveva un caffè nero come la pece, prendeva la sua bicicletta rossa scrostata e pedalava lungo il viale dei cipressi fino al cimitero. Non aveva fretta. Conosceva ogni albero, ogni pietra, ogni tomba. Per lui non erano nomi incisi nel marmo: erano storie. E ogni storia, come una pianta, aveva bisogno di cura.
Quel mercoledì di aprile, il sole si alzava pigro dietro una coltre sottile di nubi. Giovanni parcheggiò la bicicletta, prese gli attrezzi e cominciò il suo giro. Notò subito qualcosa di strano: una rosa rossa, freschissima, era stata lasciata sulla tomba di Luisa Ricci. Luisa era morta da più di dieci anni, e da allora nessuno era mai venuto a trovarla. Giovanni se ne ricordava bene. Era stata maestra del paese, severa ma giusta, con una calligrafia perfetta e un amore smisurato per la grammatica.
Si chinò a guardare meglio. Il gambo era ancora umido, come se fosse stato tagliato da poco. Nessun biglietto, nessun segno. Solo una rosa, elegante nella sua semplicità.
Quel giorno, Giovanni pensò spesso a Luisa. Chi poteva aver portato quel fiore? Un vecchio alunno? Un amore dimenticato? O forse qualcuno che aveva sbagliato tomba? Ma dentro di sé sentiva che non era un errore.
Nei giorni successivi, altre rose apparvero. Sempre fresche. Sempre sulla tomba di Luisa. Giovanni, curioso e un po’ commosso, decise di vegliare la notte, nascosto dietro il cipresso più grande.
La luna era alta, il cimitero silenzioso come sempre. All’una e mezza vide una figura avvicinarsi. Era una donna, avvolta in un cappotto beige, con i capelli raccolti in uno chignon disordinato. Portava una lanterna e una rosa rossa. Si chinò, la depose con delicatezza, poi si fermò qualche secondo in silenzio. Quando si alzò, Giovanni uscì piano dal suo nascondiglio.
«Buonasera», disse con voce bassa, per non spaventarla.
La donna si voltò lentamente. Non sembrava sorpresa. «Buonasera», rispose.
«Posso chiedere come mai queste rose?»
Lei fece un piccolo sorriso. «Non è una storia per orecchie distratte. Ma forse lei… le orecchie le ha ben tese.»
Giovanni si sedette su una panchina di pietra. La donna si sedette accanto a lui. E iniziò a raccontare.
«Mi chiamo Elena. Ho sessantotto anni. Luisa è stata il mio primo amore. Io avevo tredici anni, lei venticinque. Era la mia maestra, ed era… luminosa. Non sapevo dare un nome a quello che sentivo, ma mi bastava guardarla per sentirmi a casa. Naturalmente, non le dissi mai nulla. E forse è stato meglio così. Ma da allora, ogni anno, porto una rosa alla sua tomba. Non vengo sempre di notte, ma quest’anno non riuscivo a dormire. Così sono venuta tardi.»
Giovanni la guardò con tenerezza. Non disse nulla. Il silenzio del cimitero sembrava rispettare quella confessione.
«Sa cosa mi manca di più?», continuò Elena. «Il modo in cui correggeva i temi. Con una penna verde. Mai rossa. Diceva che il rosso feriva, il verde guidava.»
Il giorno dopo, Giovanni mise una penna verde accanto alla tomba di Luisa. E da allora, ogni volta che qualcuno si fermava a parlare con lui, raccontava la storia della maestra e della sua penna.
Il tempo passava, e il piccolo gesto di Elena diventò una leggenda locale. I bambini lasciavano disegni colorati alla tomba di Luisa, gli adolescenti vi scrivevano biglietti con i loro pensieri segreti. E il cimitero non fu mai così vivo.
Un giorno d’autunno, Giovanni non si presentò al suo solito giro. Un infarto lo aveva portato via, nel sonno, senza dolore. Quando la notizia si sparse, tutto Monterivo si fermò. Per tre giorni, la gente venne al cimitero con fiori, lettere, fotografie. Sulla sua tomba non c’era una croce, ma un cipresso giovane, piantato proprio lì, da Elena.
Ogni anno, il nove ottobre, il paese organizza una camminata lungo il viale dei cipressi, per ricordare Giovanni, Luisa e tutti quelli che, in silenzio, avevano seminato bellezza. E in quella giornata, ogni tomba riceve almeno un fiore.
Perché a Monterivo, le storie non muoiono mai. Si trasformano. Come le foglie d’autunno che cadono per dar vita a nuove primavere.
Se ti va un altro tipo di testo, fammi sapere: posso scriverne uno descrittivo, argomentativo, poetico, tecnico o qualsiasi altra cosa tu abbia in mente.
09 Aprile 2025
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Stefano M.
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